L’ art. 155 c.c. la chance dell’ Affido condiviso
Con la approvazione della legge del 26 gennaio 2006 il parlamento ha definitivamente approvato l’istituto dell’affido condiviso capovolgendo il sistema attuale in materia di affidamento in base al quale i figli sono affidati o all’uno o all’altro dei genitori, secondo il prudente apprezzamento del presidente del tribunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi.
Le nuove norme attuano il principio della bigenitorialità; principio affermatosi da tempo negli ordinamenti europei e presente altresì nella Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991.
Tale innovazione fonda la sua ratio nella convinzione che il fallimento del rapporto di coppia non comporti mai la fine del rapporto tra genitori e figli. Prima ancora, quindi, del diritto di ciascun genitore ad esercitare il suo ruolo, va affermato e tutelato il diritto del figlio ad avere due genitori ed a mantenere un saldo legame con ciascuno di essi.
Soprattutto in sede di separazione e di divorzio è necessario che entrambi i coniugi si convincano che è importante continuare la bigenitorialità, anche dopo lo scioglimento del matrimonio, nell’interesse del minore: gli ex-coniugi devono essere in grado svolgere ancora insieme il ruolo di genitori, trovando autonomamente gli accordi che renderanno possibile l’espletamento di tale ruolo
La separazione dei genitori è, infatti, per il minore un trauma, per questo motivo è importante che durante la separazione i coniugi riescano a differenziare i problemi legati alla conflittualità della coppia da quelli relativi al proprio ruolo di genitori comprendendo che, indipendentemente dall’evoluzione dei loro rapporti interpersonali, saranno responsabili a vita nei confronti dei figli.
Su questo concetto si innesta il nuovo art. 155 c.c. che, nel ribadire il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere da entrambi cura, educazione ed istruzione, conferma il criterio guida che il giudice deve seguire nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole, ossia, ancora una volta, l’interesse morale e materiale di essa.
La medesima disposizione stabilisce che il Giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori. L’affidamento monogenitoriale è confinato alle sole ipotesi in cui l’affidamento all’altro genitore sia ritenuto dal giudice contrario all’interesse del minore (art.155 bis).
L’intento generale a cui si tende non è altro che quello di tentare di umanizzare il più possibile le controversie familiari, per limitare i danni inevitabilmente patiti dalla prole, quando vi è conflitto tra i genitori, individuando tutte quelle strade che possano aiutare gli stessi a comprendere quanto sia produttivo instaurare un dialogo costruttivo che avvenga il più possibile fuori dalle aule giudiziarie.
Tuttavia, la vaghezza del testo legislativo rischia di far restare sulla carta l’interesse del minore e di ridurre ancora una volta la bigenitorialità ed il diritto del minore alla cura e all’assistenza di entrambi i genitori a mere affermazioni di principio.
La norma risulta priva di parametri oggettivi alla stregua dei quali valutare in quali casi vi sia effettivamente un interesse del minore all’affidamento esclusivo piuttosto che a quello congiunto.
Il legislatore sembra trascurare un punto di estrema importanza: l’affido condiviso può avere ragionevoli probabilità di successo solo se tra i coniugi vi è un circostanziato ed equilibrato accordo nel quale fissare nel dettaglio, e non solo in forma approssimativa, i punti previsti nei nn. 1-5 dell’art.155.
Condizione indispensabile perchè il minore possa effettivamente trarre vantaggio dall’affidamento condiviso è che vi sia un sostanziale accordo tra i suoi genitori; i coniugi pertanto devono essere educati a redigere quello che in una prima fase di stesura della proposta di legge veniva definito “progetto condiviso” e soprattutto alla necessità di essere genitori per sempre.
Un’ulteriore novità introdotta del nuovo disegno di legge sull’affidamento condiviso riguarda l’eliminazione di uno dei punti più controversi sui quali rischiava di arenarsi tutto il progetto.
La Commissione ha di fatto eliminato dal testo l’obbligo di ricorso a centri di mediazione, quando la coppia sia rivelata incapace di trovare un accordo nella fase di elaborazione del progetto di affidamento dei minori, per la ferma reazione di autorevoli studiosi nel campo della mediazione, non solo di quella familiare, infatti, la mediazione obbligatoria è una contraddizione in termini, una vera e propria ingiunzione paradossale. Il mediatore non può essere un ausiliario del giudice, la mediazione deve avere alla sua base la scelta spontanea dei genitori, per restare uno spazio di dialogo, di ascolto, di confronto reciproco, luogo di promozione della genitorialità condivisa e responsabile, di conoscenza delle risorse e dei limiti sia della coppia, istituto che è circondato da molta diffidenza, in quanto percepito ora come una inutile perdita di tempo durante il percorso della separazione coniugi, ora come una sorta di terapia per scongiurare l’evento separativo. Entrambe le interpretazioni risentono di una visione “appannata” dagli equivoci che non vengono spazzati via dal testo normativo approvato nel quale la mediazione è confinata solo ad un accenno finale del testo legislativo, come possibile strada alternativa ad una lite già iniziata.
L’affidamento condiviso dovrebbe contribuire ad una crescita armoniosa dei figli, alla responsabilizzazione di ciascuno dei genitori nei loro confronti, portando anche a superare il problema legato alla mancanza della figura paterna, destinata a modificare una società senza padri. Fino ad oggi, infatti, il genitore affidatario, in circa l’84% dei casi, e’ stata la madre. Non si tratta di costringere i genitori ad andare d’accordo, ma di attuare scelte responsabili e di porre in essere comportamenti civili al solo fine di salvaguardare il figlio.
Sebbene la nuova legge presenti una serie di “limiti”, è pur vero che la stessa introduce una novità rilevante in tema di mantenimento dei figli minori prevedendo che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuna di esse provveda al mantenimento diretto del figlio, in misura proporzionale al proprio reddito.
Per rendere effettivo tale principio di proporzionalità, le nuove norme (art. 155 c.c.) prevedono la possibilità che il Giudice, ove necessario, stabilisca la corresponsione di un assegno periodico che sia determinato considerando le esigenze del figlio, il tenore di vita goduto durante la convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, nonché le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno di essi.
E’ previsto, inoltre, l’adeguamento automatico dell’assegno agli indici ISTAT, qualora il Giudice o le parti non abbiano indicato un parametro diverso.
Significativa è anche la previsione della collaborazione dell’azione accertatrice della polizia tributaria sui redditi e i beni oggetto di una eventuale contestazione. Adeguandosi a quanto già stabilito dalla cassazione: AI FINI DELLA DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO, IL GIUDICE, SE E’ NECESSARIO, HA IL DOVERE DI IMPIEGARE LA POLIZIA TRIBUTARIA PER ACCERTARE IL REDDITO DEL CONIUGE CHE DEVE CORRISPONDERLO – In caso di separazione (Cassazione Sezione Prima Civile n. 10344 del 17 maggio 2005,). Questo è il punto della legge che forse solleva le maggiori perplessità, poiché fondato sulla logica dell’assegno periodico senza tuttavia chiarire il concetto di periodicità.
La norma affida al Giudice il compito di stabilire la corresponsione di un assegno periodico “ove necessario”, senza fornire alcuna direttiva che delinei esattamente il concetto di periodicità e necessità. In sostanza, l’interesse del minore al proprio mantenimento è assegnato al caso, alla fortuna di trovare giudici tanto preparati e sensibili da prendere provvedimenti equi che possano dirsi veramente disposti nell’interesse della prole. Tale interesse è ancora una volta criterio-guida della riforma, richiamato dal legislatore per attribuire ad uno dei coniugi il godimento della casa familiare.
Comprensibilmente, di tale assegnazione occorre tenere conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori; discutibile è invece l’ulteriore disposto dell’art. 155 quater, in forza del quale il diritto al godimento della casa familiare viene meno qualora l’assegnatario non vi abiti o cessi di abitarvi stabilmente, oppure conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Qualora uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro puo’ chiedere se il mutamento interferisce con le modalita’ dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o delle intese sancite, compresi quelli economici.
In tal modo, non sembra realizzato l’interesse del minore, che verrebbe privato della casa familiare, cosa che la cassazione ha sempre invece tenuto in considerazione come interesse primario, valga per tutte la recente: in caso di separazione o divorzio l’assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente all’interesse della prole– Anche se ha riflessi economici (Cassazione Sezione Prima Civile n. 10994 del 14 maggio 2007)
L’art. 155 quinquies prevede la possibilità che il Giudice disponga in favore dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti un assegno periodico, corrisposto direttamente all’interessato salva contraria statuizione.
In tal modo, tuttavia, si aggrava la posizione del figlio maggiorenne, costretto ad agire in giudizio per vedersi riconoscere il diritto al mantenimento: anche in questo caso si segue una impostazione già data dalla cassazione: IN CASO DI SEPARAZIONE O DIVORZIO L’OBBLIGO DI MANTENERE IL FIGLIO NON CESSA AUTOMATICAMENTE QUANDO EGLI RAGGIUNGE LA MAGGIORE ETA’ – Se, senza sua colpa, non ha conseguito l’indipendenza economica (Cassazione Sezione Prima Civile n. 22214 del 24 novembre 2004).
IL FIGLIO MAGGIORENNE CHE RIFIUTI INGIUSTIFICATAMENTE UN’OCCUPAZIONE PERDE IL DIRITTO AL MANTENIMENTO – L’esistenza di una valida giustificazione per il rifiuto deve essere accertata in base a criteri di relatività (Cassazione Sezione Prima Civile n. 23673 del 6 novembre 2006).
In tema di ascolto del minore si corre il rischio che quest’ultimo venga coinvolto nel conflitto e nel processo. L’art. 155 sexies prevede infatti che il Giudice possa disporre l’audizione del figlio minore che abbia compiuto dodici anni o anche di età inferiore, ove ritenga che abbia capacità di discernimento.
A conclusione di questo rapido esame delle nuove norme in tema di affidamento della prole, è facile avvertire ancora una volta la sensazione di amarezza e di incertezza che accompagna ogni intervento incompleto ed insoddisfacente del legislatore.
Si tratta di un’altra occasione mancata per la regolamentazione di istituti, quale ad esempio la mediazione familiare, alla quale i genitori preventivamente con un passaggio informativo potevano accedere.
La legge appare estremamente vaga in merito alla residenza del minore, il quale potrebbe essere costretto a “rimbalzare” tra una residenza e l’altra nell’ipotesi in cui i genitori non abbiano la coscienza di comprendere che la stabilità della dimora è indispensabile all’equilibrio del minore. In sintesi, un punto conclusivo deve risultare chiaro: l’affidamento condiviso non produce di certo come naturale conseguenza che un bambino possa vivere metà del suo tempo con il padre e l’altra metà con la madre, ma si traduce in un invito a scelte responsabili, indirizzato ai genitori che si separano.